In data 30 settembre 2011 la giuria della terza edizione del premio nazionale di drammaturgia contemporanea Il Centro Del Discorso si è riunita a Roma presso il Teatro Valle per selezionare i testi finalisti.
Erano presenti: Arturo Cirillo, Roberto Corradino, Mariano Dammacco, Roberto Scarpa, Daniele Villa e Werner Waas (Presidente della giuria, senza diritto di voto). Assenti: Marco Martinelli (ha votato e mandato il suo contributo per iscritto), Mauro Marino (non ha votato) e Francesca Corona (senza diritto di voto).
Dopo uno scambio di vedute sul senso di un premio di drammaturgia come questo, di fronte ad una totale mancanza di mercato per questo tipo di prodotto e quindi con un diffuso senso di scoramento sulla sperimentazione avviata e le possibili prospettive, si è avviata un'ampia discussione sui testi arrivati per questa terza edizione che non hanno, bisogna ammetterlo subito, avuto il potere di fugare la sensazione di muoverci in un contesto generale un po' asfittico e dalla dubbia necessità.
Dalla discussione è emersa una quasi contraddizione fra qualità ed interesse, nel senso che i testi capaci di suscitare maggior interesse per quanto riguarda possibili sviluppi ed eventuali cortocircuiti con il mondo reale, erano spesso deficitari dal punto di vista della fattura tecnica e viceversa. Ciò ha portato a svariati cambiamenti di opinione nel corso della discussione. Si è cercato di puntare sui giovani a scapito dei più grandi, secondo il principio che bisogna investire nel futuro, e di premiare testi di diversa natura e tonalità aprendo il più possibile la gamma dei linguaggi.
Criteri fondamentali sono stati la freschezza e l' autenticità della voce e la potenzialità di ulteriori sviluppi a partire da quegli embrioni di testi.
Ecco le conclusioni della giuria:
Accedono alla fase finale del premio e quindi anche alla residenza di una settimana presso le Manifatture Knos di Lecce in un periodo ancora da concordare:
Luciana Maniaci – Francesco D'Amore con “ La Biografia della peste”
Per l'intuizione allegorica di fondo e le soluzioni linguistiche fresche e scanzonate. Un'intuizione attraversata con leggerezza e semplicità capaci di restituire un'amarezza imprecisata ma incisiva. In un piccolo paese - che è ogni possibile paese - dove gli abitanti sono morti e si svegliano solo un'ora al giorno troviamo un interno dove una famiglia di semivegetali ha invece a disposizione 24 h e non riesce a farne granchè. La madre albero possessiva, il padre cavolo, Cris il figlio disturbato. Qui irrompe Adelina, la non-morta capace di spingere il giovane Cris verso gesti estremi. Racconto ironico e ritmato di un luogo "spento", inerte, da cui uscire al più presto, se solo se ne avessero le forze. Partendo da una intuizione di grande potenzialità, ovvero lo scenario di una umanità viva soltanto per un’ora al giorno, offre belle invenzioni e molti spunti divertenti in equilibrio sul difficile confine, poco frequente in genere nella drammaturgia italiana, tra comicità, ironia drammatica e surrealismo. La figura del Padre-cavolo forse meriterebbe un maggiore definizione sul piano emotivo, rischiando altrimenti di essere una figura unicamente comico-surreale.
Nella capacità di scegliere quali segni approfondire, tra i tanti già presenti nel progetto e nei brani di testo, sembra stare la chiave di una fertile prosecuzione del testo.
Chiara Boscaro con “Bel Paese”
per le possibilità di sviluppo drammaturgico che alla commissione è parso di cogliere nell’esposizione del progetto e nelle prime scene presentate dell’incontro tra Maria e il Comandante. L’incontro e il conflitto fra culture, età, e generi attraverso il dialogo dal sapore beckettiano tra un vecchio italiano e la sua giovane badante proveniente dall’Europa dell’Est,
sembrano poter condurre verso un affresco dell’Italia di oggi e delle tensioni esistenziali e politiche che la abitano.
Attraverso il duetto, scritto in modo sicuro e con palpabile e disperata ironia, tra il pensionato presidente e la badante, si racconta il delirio di una generazione e di un'epoca, mettendo impietosamente il dito nelle piaghe della realtà senza per questo “cadere” nella semplice cronaca. Sarebbe interessante lasciare attraversare i dialoghi, già brillanti e ricchi di spunti, da squarci di un linguaggio ora più asciutto, ora di natura poetica, linguaggio che anima l’exposè del progetto stesso.
Marco Ferro con “Ordine Del Giorno ”
Interessante scrittura aperta alla messa in scena e già scrittura di scena di per sè, nel suo tentativo di unire il linguaggio "animato" alla scrittura testuale.
Nella sua apparente minimale quotidianità apre però la scena a orizzonti surreali , raccontando senza scadere mai nella didascalia, una realtà ben più articolata e complessa di quella che appare.
L’originale stile di Ferro sembra adatto a sollecitare l’immaginazione degli interpreti che avranno la possibilità di appoggiarsi al personaggio e all’azione senza dover rinunciare alla propria libertà autoriale.
Incuriosisce e affascina per i temi dichiarati e la forma scelta, ovvero una riunione di condominio come metafora delle nostre vite, nonché per le illustrazioni che accompagnano il progetto drammaturgico.
Bella l'idea di personaggi più tradizionali che convivono in scena con altri dalle parvenze animalesche. Molto divertente il rapporto metateatrale con il pubblico, continuamente chiamato in causa come misterioso invitato alla riunione condominiale.
Visionario e vago, come uno spazio-tempo alterato in cui può succedere nulla ma anche tutto, ODG parte da un pezzo di memoria collettiva e lo sposta, di senso e di atmosfera, uno straniamento di cui lo storyboard integrato è evidente sintomo. Nel tempo in cui la riunione condominiale si struttura e il gruppo si forma, si insinua l'inquietudine tipica delle visioni che sono giusto un passo fuori dal verosimile e che ci restituiscono la banalità in modo deforme: così che la ricordiamo ma non la riconosciamo pienamente, e quindi la interroghiamo. Difficile attualmente comprendere come il testo definitivo possa sviluppare le felici basi di partenza sia formali che contenutistiche, ma ciò che si è letto e osservato finora, compresa la costruzione per apparizioni della scena, è promettente.
Anna Coluccino con “ Di cosa si muore quando si muore”
Per l’attenta costruzione della struttura drammaturgica e la definizione mai scontata dei personaggi e dell’evoluzione dei loro rapporti nel corso del tempo. La commissione in particolare ha apprezzato l’esposizione dell’evolversi della relazione sentimentale fra Rita e Emiliano.
Un interno insopportabile, dove un padre malato terminale cerca di provocare l'odio della moglie e della figlia, atto ultimo di un legame, gesto d'amore estremo prima del distacco. Osserviamo l'interno da feritoie nella quarta parete, come vicini di casa che volenti o nolenti ricevono voci, informazioni, umori che giungono da una finestra o attraverso le mura sempre troppo fini di un condominio. Le oscillazioni cronologiche ci restituiscono le fasi di una trasformazione, ci riportano ad un passato dove l'odio non era necessario. Ritmo e dolore, connubio non facile, con una traccia di crudeltà necessaria e di tragedia assoluta, talmente assoluta da diventare di tutti. Un testo dalla forte tensione emotiva, con un linguaggio secco ed estremamente tenuto, mai retorico nè ridondante, drammatico, caustico, come anche amaramente ironico. Le intenzioni dell'autrice sono state largamente messe in atto, almeno nelle scene che si è lette: il non voler prendere le parti di nessun personaggio, la sospensione del giudizio ecc.
Una drammaturgia già compiuta, che ci mostra lo sfacelo morale, sentimentale e relazionale di una piccola famiglia davanti alla malattia e alla morte. Il personaggio della figlia, in particolare, può però forse ulteriormente compiersi, e crediamo valga la pena non considerare chiusa la stesura del testo, ammesso che queste fossero le intenzioni dell’autrice, perché sembrano intravedersi ulteriori e interessanti approdi .
Si consiglia di tenere il titolo originale come sottotitolo e pensarne uno più evocativo e meno esplicito.
Il Premio nazionale di drammaturgia contemporanea "Il Centro del Discorso" è promosso dall’Associazione Culturale Induma (LE) con la preziosa collaborazione di Manifatture Knos (LE), Associazione Sud Est (LE), Effigie Editore/Il Primo Amore (PV), Area 06 (RM), Reggimento Carri (BA), Società Cooperativa Cool Club (LE) e con il contributo di Regione Puglia – Assessorato alla Cultura ed il Mediterraneo e Provincia di Lecce.
Info: teatri@manifattureknos.org